Mentre Camolese rischia Cimminelli vende il Torino
Non ci ha colpito tanto la mancanza di una vera eleargizione di miliardi in sede di mercato (del resto il patron granata ha speso molto per tappare le grosse falle del bilancio societario eredidato dal passato) e neanche le visite alla Ferrero e la ricerca dichiarata di compagni di cordata sulla carta stampata, ma di Cimminelli non ci convince il tipo di feeling che ha instaurato il grande industriale della plastica con il mondo in cui si è venuto a rapportare dal momento in cui ha acquisito il Torino Calcio. Le dichiarazioni spavalde di conquiste di zona Uefa al primo colpo ci sono sembrate sin dall'inizio esternazioni da vecchio filibustiere del mondo borsistico, un Viagra per dare morale ad una truppa tremebonda alle soglie di un palcoscenico forse superiore alla caratura della compagine granata, ma non certo adatte per quella che rimane una matricola del salotto buono del calcio italiano. Da allora l'entusiasmo e il piglio spavaldo del patron è andato scemando anzi ha tentato di lesinare sul filo dei miliardi un querelle farsesca come quella tra il Penarol e il Torino per Franco, mentre gridava ai quattro venti il suo stato di imprenditore solo ed abbandonato nel cuore di Torino, boicottato dalla politica locale anche in uno dei suoi vecchi proclami più roboanti: il Filadelfia (attendeva forse che la famiglia Agnelli lo aiutasse?).
Ora assistiamo ad un crescendo di voci che vorrebbero Cimminelli intento nel cercare la via d'uscita meno dolorosa per evitare che il Torino possa diventare il suo primo fallimento professionale. Ma al Torino inteso come tifoseria e squadra chi ci pensa?!