David Guetta: Non staremo esagerando?
Sto parlando dei festeggiamenti per il quarto titolo mondiale, naturalmente.
Anch'io domenica sera, verso le 22, mi sono trovato a spiegare alle mie due bambine truccate di tricolore concetti che domani certamente dimenticheranno, tipo il fuorigioco o il calcio di rigore, ma è stato appunto lo spazio di una finale.
Ora mi pare che tutto si stia un po' troppo dilatando, assomigliando sinistramente ai festeggiamenti per lo scudetto della Roma, che nel 2001 durarono un paio di settimane o addirittura di più.
Forse è proprio questo che rende il calcio inviso agli altri sport: la Nazionale di pallanuoto vince le Olimpiadi e viene ricevuta in mezzo a trenta-giornalisti-trenta al Quirinale, per quella di calcio si paralizzano le città, si rovesciano cassonetti, si accordano giorni di ferie per riprendersi dalla sbornia post Mondiale.
E poi è tutta una questione di centimetri, quelli non oltrepassati dal pallone calciato da Trezeguet sulla traversa (ma prima a loro era andata bene con Zidane), ma in fondo è il fascino di questo sport.
Una gigantesca roulette russa, dove se ci andava male avremmo istruito processi a Lippi e Totti, che in pratica è come se non fosse sceso in campo contro la Francia, altro che Circo Massimo, lacrime di telecronisti e Piazza Venezia piena e quant'altro.
Ci siamo (si sono) dimenticati di tutto: tonnellate di miele sui protagonisti scordando le gambe rotte (Cannavaro), le facce aperte (Materazzi), le gomitate date (De Rossi), i conflitti di interesse (Lippi).
Può darsi che sia giusto così e ad un certo punto, verso le 22.40 di domenica mi sono ritrovato a dire ad alta voce che a Del Piero avrei perdonato metà (solo metà eh...) dei suoi peccati se solo l'avesse messa dagli undici metri.
L'ha fatto e manterrò la promessa, però mi spiace che l'Italia del calcio per cui ho sinceramente trepidato abbia sempre bisogno o di eroi o di capri espiatori.
Nel 1970 una grande squadra venne presa a pomodori in faccia una grande squadra solo perché in Messico arrivò seconda, battuta solo dal più grande Brasile della storia, mentre tre giorni fa la Germania è scesa in piazza a festeggiare un terzo posto.
Una lezione di civiltà, su cui sarà bene riflettere.
E da domani si torna a discutere di Fiorentina.
Dopo aver letto qualche vostro commento, occorre qualche precisazione.
Vi confermo che ero, sono e sarò contentissimo per la vittoria azzurra.
Mi ha lasciato dentro un'enorme soddisfazione, che non era la stessa del 1982, ma solo perché ho 46 anni e non più (ahimé) 22.
Solo che se vogliamo davvero cambiare in meglio il calcio credo che si debba cercare il senso della misura.
Questo è un Paese che scorda tutto in fretta, che ha scaricato Bearzot a 59 anni (quasi l'età di Lippi) dandogli di vecchio rincoglionito dopo due grandi Mondiali ed una eliminazione agli ottavi, un Paese che per anni mette al bando Materazzi e poi ne fa un eroe, salvo poi ricacciarlo all'inferno alla prima scazzottata del prossimo campionato nel sottopassaggio di uno spogliatoio.
Per questo mi piace poco l'esultanza smodata a 24 ore da un evento ececezionale e splendido come la vittoria ai Mondiali.
Non mi piace la retorica di tanta gente salita all'ultimo tuffo sul carro dei vincitori, ma forse sbaglio io, che comunque, lo ribadisco tifo e tiferò sempre Italia.
E se proprio devo indicare il mio "eroe" tedesco, scelgo Grosso, per la sua espressione prima di battere il rigore decisivo (e per come l'ha battuto), per il suo "non ci credo" dopo il fantastico gol alla Germania.
Ecco, Grosso, che non a caso si è visto poco nel marasma dei festeggiamenti, dà l'impressione di pensare che "tutto è bellissimo, me la godo, ma da domani c'è di nuovo da lavorare".
Esattamente come farei io se avessi la fortuna e la bravura di essere al suo posto, però non pretendo di convincervi, ne' tantomeno di essere nel giusto.