L' "Italietta" s'è desta
Prendo spunto da uno splendido, vecchio film italiano, molto italiano: "Pane e cioccolato", commedia agro-dolce interpretata da uno straordinario Nino Manfredi. Forse gli utenti di tuttomercatoweb non lo ricordano, ma non è stata mai così attuale, soprattutto se ripensiamo alle provocazioni anti-italiane della stampa popolare tedesca. Nel suddetto film, l'italianissimo Manfredi emigra in Svizzera in cerca di lavoro, la voglia di integrarsi e le continue umiliazioni subìte lo inducono a fingersi "indigeno", si tinge baffi e capelli di biondo e spiattella in una bar lo scarno tedesco che conosce. Sarà un partita di calcio in tv a fargli cambiare idea, al gol degli azzurri il buon Nino esplode e sberleffa i presenti, si risente italiano, imperfetto ma italiano, come tutti noi. Dopo Italia-Germania ho riflettuto su un aspetto che credo importante: non bisogna snaturarsi né fingersi ciò che non siamo. A noi piace la faccia spigolosa di Gattuso che reagisce rabbiosamente alle insinuazioni tedesche, apprezziamo la marcatura tignosa di Cannavaro e l'occhio vispo di Perrotta, non gradiremmo parrucche bionde e baffi posticci. La nostra natura mediterranea è un vanto e la nostra tradizione calcistica pure. Lippi ci ha provato, ha avuto il coraggio di schierare una squadra con più punte e meno attendismo. Il popolo pallonaro voleva il bel calcio, il gioco spumeggiante e Lippi ha fatto di tutto per accontentarlo. Pirlo in regìa, Totti sulla trequarti, due punte di ruolo, l'incursore Perrotta, due fluidificanti.
Bel modulo in teoria ma tanto lontano dal nostro modo di vedere il calcio. Ci siamo tinti come Manfredi, abbiamo provato il restyling, ma per giocare così è necessario avere una squadra di palleggiatori e la tendenza a addormentare il gioco in mediana senza mai arretrare. Il modello portoghese-brasiliano o se vogliamo un esempio più recente, il Barcellona campione d'Europa. Un modo di vedere il calcio non sempre vincente e comunque non universale. Esistono scuole calcistiche diverse, parimenti gloriose, con diversi punti di forza. Il modello italiano che Lippi ha rispolverato nelle partite decisive è sicuramente meno spettacolare ma di certo più incisivo: difendere e ripartire, marcature strette per inaridire le fonti avversarie, verticalizzazioni affidate al trequartista, punta generosa (a volte due) e incursori pronti a sfruttare le fasce. Ma non è solo questione di modulo e posizioni, ma di mentalità, di approccio. Ci sappiamo difendere e soffrire, alterniamo randello e fioretto, siamo soliti autocriticarci e gongolare nello psicodramma collettivo. Ora, anche se ci criticheranno fino alla fine, nessuno cancellerà dal mio cuore il ricordo della faccia incredula di Grosso, l'esplosività di Cannavaro, i sorrisi di Buffon e tante altre cose... grazie azzurri!
Non cambiate più, siate italiani e imperfetti, come Dio ci ha creato.