Aldo Agroppi: "Meglio vivo in panchina che morto da titolare"

"Troppe le vittime nel calcio... Le siringhe stiano lontane dalla pelle dei giocatori e chi sa non abbia paura di denunciare". Aldo Agroppi, da amico e collega di Bruno Beatrice, non ha paura di denunciare le "morti misteriose" che hanno colpito il mondo del pallone in questi ultimi anni. "Da quando con Gianluca Signorini è cominciata questa lunga striscia di lutti - racconta l'ex calciatore - mi sono molto preoccupato. Così, spontaneamente mi sono presentato dal giudice Raffaele Guariniello per raccontargli tutto quello che mi avevano dato in carriera, visto che quelle morti riguardavano tanti calciatori miei amici". Uno di questi era proprio Beatrice. "Bruno è stato una vittima, come tante altre di quella mia generazione di giocatori degli anni '70. Ci fidavamo del medico che pensavamo fosse un nostro amico e invece ci hanno riempito di Micoren (farmaco fuori commercio dal 1985, ndr) e di corteccia surrenale. Tutta roba che poi si è scoperto che non andava data...".
Abusi più o meno consapevoli, ingenuità. Comunque di mezzo ci sono sempre farmaci somministrati da massaggiatori e medici ai calciatori. "Possibile, e se c'è da punire chi ha sbagliato - continua Agroppi - se esistono dei colpevoli per queste tragedie è giusto che si sappia, perché è assurdo che si possa morire solo per il fatto di aver giocato a pallone".
Ma lo spettro dell'abuso dei farmaci e delle sostanze dopanti c'è ancora? "Non voglio vedere una siringa vicino alla pelle di un calciatore solo per rimetterlo in campo il più in fretta possibile. Ci sono dei medici, pochi per fortuna, degli avventurieri che monetizzano il successo dei loro club per le loro attività collaterali, vedi cliniche private o ambulatori specializzati. Questi vanno messi al bando e tenuti lontani dagli spogliatoi. Ma le responsabilità più grandi ce l'hanno i calciatori stessi che vengono educati dalle società ad essere omertosi. Invece io dico che devono avere il coraggio di dire 'no'.... Se non ce la fanno a giocare 60 partite come dicono, che ne giochino 30 e chiedano di stare in panchina, ma si rifiutino di prendere qualcosa di cui non conoscono le effettive controindicazioni. All'epoca noi eravamo ragazzotti che vivevamo nell'ignoranza, ma questi di adesso sanno tutto e hanno il dovere di ribellarsi. Meglio vivere tutta una vita in panchina che morire da titolari".
Un monito da rigirare innanzitutto ai giovani. "Gli organi federali controllino quello che accade nel calcio giovanile. Un torneo come quello di Viareggio che ai miei tempi giocavano le 16 migliori squadre del mondo, adesso per il solito discorso del calcio-business è passato a 50 club e l'ultima settimana questi ragazzi di 17-18 anni disputano 5 partite in sette giorni... Una follia. Dopo è chiaro che per farli stare in campo se non gli danno qualcosa i medici, ci pensano da soli. Lo fanno per poter reggere a quei ritmi infernali e così si rovinano la salute. Dopo il calcio però si ricordino: c'è un'altra vita, quella più importante, fatta di affetti e di responsabilità in cui la salute viene prima di tutto e non può essere stata compromessa solo perché quando ero un professionista del calcio ho accettato tutto il veleno che mi proponevano...".
È questa anche l'accusa e il rimpianto delle "vedove del pallone" come Gabriella Bernardini. "Chi sa, chi ha visto o vede cose strane nel calcio, abbia il coraggio di denunciare, perché solo così potremmo davvero fare qualcosa contro questa piaga".