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Carlos Alberto Pavón: il sogno degli honduregni, l'incubo dei napoletani

Carlos Alberto Pavón: il sogno degli honduregni, l'incubo dei napoletani
martedì 30 gennaio 2007, 18:082007
di Giuseppe Di Napoli

"33 anni fa la storia diede luce a un goleador grazie al quale il popolo honduregno ha iniziato a sognare". Lo ha scritto un giornalista sportivo che celebrava le lodi del proprio eroe nazionale, ormai al tramonto. Sì, proprio un eroe nazionale, come testimonia la massima onorificenza tributatagli dal Presidente della Repubblica del Paese centroamericano nel 1994, quando il nostro rinunciò alla propria squadra di club per dedicarsi anima e corpo alla nazionale di cui divenne ben presto capitano. Stiamo parlando di Carlos Alberto Pavón, giocatore che abbiamo potuto ammirare in Italia tra il 2001 e il 2003 con la maglia di Udinese e Napoli. Non lasciò traccia di sé tra i friulani che lo girarono poi al Napoli assieme allo sconosciuto Lopez nell'operazione Jankulovski: una delle tante operazioni strampalate dell'ultima era Ferlaino.
Nell'Udinese segnò un gol all'esordio contro il Torino, mentre a Napoli verrà ricordato solo per la folta chioma dei primi tempi, per il grave infortunio alla caviglia, che ne condizionò il rendimento, e per i tanti gol sbagliati. Era il Napoli di De Canio che, ottenendo il massimo da una rosa non del tutto competitiva, sfiorò la promozione in A. Fatale fu quel Napoli-Reggina 1-1, al San Paolo. Era il Napoli di Saber, Moriero, Artistico e soprattutto delle pantomime tra Ferlaino, Naldi e Corbelli che in quel periodo venne anche arrestato. La sapienza tattica di De Canio e i gol pesanti di Luppi poco poterono in un clima in cui era difficile fare calcio. Il sottoscritto ha avuto l'onore di assistere al suo esordio a Fuorigrotta: l'impressione non fu così negativa. Tecnicamente il giocatore c'era, peccato che in campo giocasse da solo, non curante dei compagni e delle disposizioni tattiche. La sua ossessione era dribblare e segnare. Di dribbling gliene riusciva uno su tre, di gol poi....
Eppure in Centro America era un vero e proprio idolo: nel 2000 vinse il premio, istituito dal quotidiano costaricano "Al Dia", come miglior giocatore centroamericano dell'anno. Ottenne da 23 giornalisti specializzati, 85 voti su 116. Precedette Wanchope, Soto e Dely Valdes. In quel tempo molti prospettavano per lui una carriera fulgida. Più importante di quella del padre, costaricano, noto giocatore del Club Deportivo Marathon, seguitissima squadra in terra honduregna negli anni Settanta. Il padre scappò negli Stati Uniti e la povera madre restò da sola con il figlio che si portò dietro la passione calcistica del padre. I primi calci da professionista li diede nel 1993 al Club Deportivo Olimpia, ma fu la squadra di San Pedro Sula, il Real España, a credere in lui. Avare di soddisfazioni invece le esperienze in Messico con il Deportivo Toluca e il San Luis Potosì. Nel 1995 il grande salto verso il Vecchio Continente per raggiungere il suo amico fraterno e compagno di nazionale Amado Guevara: trovò però poco spazio al Real Valladolid. "L'allenatore preferiva i giocatori sudamericani a noi" ebbe a dire Pavón qualche tempo dopo.

Bisognava ripartire da zero e lui non si perse d'animo. Ripartì dal Club Correcaminos de la UAT, serie B messicana, dove fu protagonista con 14 gol, anche se la sconfitta in finale della sua squadra non gli consentì di accedere alla massima divisione. Si accorse tuttavia di lui il Club Nexaca, squadra della capitale, dove giocò a fianco di Aguinaga, Blanco ed Hernandez. La stagione fu positiva e così l'Atletico Celaya fece di tutto per assicurarsene le prestazioni: qui nacque il grande sodalizio con l'allenatore argentino Omar Romano, quello che Pavón amava chiamare Papà Romano, quel padre che lui non aveva praticamente mai avuto. Il grande rapporto tra i due diede i suoi frutti: salvezza tranquilla e 35 gol. Nel 2000-2001 il grande salto nel Monarcas Morella tra le cui fila si distinse per il suo fiuto del gol, conquistando l'unico titolo nazionale vinto all'estero, pur non potendo giocare la finale per infortunio. Nel continente era una star. Il terreno era fertile per tornare in Europa, dove però Udinese e Napoli lo scaricarono senza troppi rimpianti.
Dopo delusioni e infortuni torna al buen retiro del Real España dove conquista il titolo dando spettacolo facendo coppia in attacco con il brasiliano Luciano. Papà Romano lo richiama allora al Morella, ma il sodalizio non è felice come un tempo anche a causa dell'esonero dell'allenatore a campionato in corso. Successivamente breve esperienza in Colombia, per poi vestire in Messico, raccomandato ancora da Romano, la prestigiosa maglia del Cruz Azul: porta con i suoi gol la squadra alle semifinali scudetto, per poi arrendersi all'America. Non gli restava che l'ultimo ritorno in patria. Stagione 2005-06, ancora nel Real España: prestazioni senza infamia e senza lode e due soli gol.
Grandi soddisfazioni, invece, con la nazionale con la quale, però, non è mai riuscito a raggiungere la fase finale dei mondiali, solo sfiorata nel 2002 nella finale con il Messico. Obiettivo fallito anche per Germania 2006 nonostante facesse coppia con il fortissimo Suazo del Cagliari. "Non dovevano mandare via il tecnico Maneduraga" ha spiegato poi Pavón, che decide di lasciare la nazionale. Con la "Bicolor" vanta un terzo posto nella Coppa America del 1997 e il maggior numero di gol segnati, quaranta, avendo superato Roberto Figueroa. Non ebbe altrettanta gloria nelle squadre di club. Un ramingo incompreso.
A Napoli, invece, ricordano ancora quell'incredibile gol che Pavón si divorò, nel febbraio 2002, contro il Cagliari, realizzazione che sarebbe stata pesantissima in chiave promozione. "Se non avessi sbagliato tanti gol non sarebbero state dette tante cattiverie contro di me". Probabile. Ma se non avesse sbagliato tanti gol, Pavón non sarebbe stato una meteora della nostra rubrica...