Gumprecht, un tedesco a Lecce
Quante volte vi è capitato di leggere con fastidio le presentazioni del fuoriclasse di turno che magnifica le doti di un suo connazionale appena arrivato in Italia? Biglietti da visita che spesso si rivelano come minimo azzardati? Emblematico a tal proposito è il milanista Cafù: chiedetegli di qualche terzino brasiliano e il suo animo bonario lo spingerà a descriverlo come l'incarnazione stessa di Carlos Alberto o di qualche altro leggendario difensore del tempo che fu. Se, una colpa si può attribuire ad Andrè Gumprecht, di certo non possiamo rintracciare qualche giocatore tedesco dell'epoca che lo abbia presentato come un atleta fuori dal comune. Quando il Lecce lo acquista dal Bayer Leverkusen nell'estate del 1993 l'indimenticabile Rudi Voeller ha commentato il suo arrivo con un categorico: "Mai sentito nominare". In effetti Andrè Gumprecht giunge in Italia da perfetto sconosciuto: il Lecce appena tornato in serie A deve allestire una squadra con mezzi economici limitati e il nome del giovane tedesco, da poco maggiorenne, sposa a pieno la filosofia dell'allora direttore sportivo Mimmo Cataldo, riassumibile in questa frase: "Per venire al Lecce i calciatori devono costare poco, ma se non costano nulla è ancora meglio". Gumprecht viene acquistato a buon mercato. Un prezzo anche piuttosto esoso, alla luce delle qualità di Andrè, nato nell'ex Repubblica Democratica Tedesca e precisamente a Jena il 26/11/1974. L'input di Cataldo viene preso alla lettera e, oltre a Gumprecht, arrivano anche Toffoli e Ayew, già protagonisti loro malgrado della nostra rubrica. Se pensiamo ad un simile fronte d'attacco, non risulta difficile capire come il Lecce si sia ritrovato nel giro di due stagioni in serie C1. E come Gumprecht abbia avuto modo di giocare con il contagocce, appena 16 presenze spalmate in due stagioni, che per i salentini rappresentano forse il tracollo più vistoso della loro storia. Nell'anno della retrocessione in terza serie, poi, Andrè gioca una sola partita in campionato e mezz'ora in Coppa Italia, nel marasma dei 32 calciatori schierati e che hanno prodotto l'ultimo posto in classifica: la miseria di 24 punti e 67 reti subite. Il Lecce preferisce lasciar crescere altrove il promettente centrocampista, affidandosi piuttosto a Renato Olive e Tiziano De Patre. Così Gumprecht inizia un peregrinaggio nelle serie minori tedesche, confermando quell'infausto trend che vede giocatori stranieri scartati dal nostro calcio che ricominciano in patria ancora più in basso da dove sono partiti.
I nomi dei suoi club sono quasi impronunciabili: Preussen Colonia, SG Wattenscheid 09, Bayer Leverkusen (ovviamente la seconda squadra), Hallescher FC, FSV Zwickau e Dresdner SC fino alla scelta di vita maturata nel 2002, cioè il lungo viaggio che lo porta in Australia, terra di canguri e di un calcio veramente poco esigente. La carriera di Gumprecht cambia radicalmente: da spaurito interprete del ruolo a vero e proprio beniamino delle folle. La sua militanza oltre oceano si carica di gloria e risultati, prima nel Perth Glory e nei Parramatta Powers e infine nei Central Coast Mariners che lo incoronano perfino miglior giocatore del 2005. E come gli idoli della Liga, o della serie A, cercano un rifugio tranquillo e redditizio in tornei esotici. Gumprecht si concede una breve parentesi a Singapore, nelle fila dell'Armed Forces FC, dalla quale ritorna ancora più ricco e celebrato. "Nemo Propheta in patria" si diceva nell'antichità, ed evidentemente Gumprecht non era adatto ai livelli europei, se non alla filosofia minimalista di Cataldo, e in Oceania può dare corso a tutta la sua convivialità, dato che va a bere al pub con i tifosi e partecipa alle trasferte organizzate quando è infortunato. Doti umane che gli sono valse l'ingaggio nella "Soccerpro", Academy che si prefigge di insegnare calcio a sessanta bambini. Sentite come Gumprecht ricorda oggi la sua esperienza al Lecce: "Sono stato molto fortunato a ricevere nel 1993 un'offerta per giocare nella serie A italiana, il miglior torneo del mondo. E' stata una grande spinta per la fiducia in me stesso e nelle mie qualità, ma ciò ha comportato molte pressioni difficili da sostenere per un giovane, anche se penso di averle gestite al meglio. Ovviamente non è stato facile giocare così presto in un campionato tanto competitivo" . Ce ne siamo accorti! Andrè dà questa spiegazione al suo prematuro addio al calcio nostrano: "Vivere lontano da casa e dalla tua famiglia e parlare un'altra lingua stava diventando difficile così ho deciso di tornare alle mie radici, forse era nostalgia di casa o qualcos'altro". Noi propendiamo per qualcos'altro.