Senza più lacrime, proviamo a combattere i barbari
Quando scrivevo dei rischi a cui il calcio andava incontro inesorabilmente portavo, mi pare, i calzoncini corti.
Una metafora per dire, come tanti, l'avevo detto che sarebbe andata a finire male. Non mi sentivo profeta allora, non mi sento profeta oggi.
Sono solo uno dei tanti "pirla" di Sicilia che non ha mai abbandonato la paura che potessero rubagli uno degli "amori" più veri dalla sua adolescenza alla maturità.
Ed il "pirla" ha continuato a scrivere, parlare, sperare mentre in contemporanea altri "pirla" di tutta Italia, quelli criminali, mafiosetti, decerebrati, complessati, cocainati ed arrugginiti continuavano periodicamente a devastare il suo sogno ed a rubare la sua "gioielleria" (definizione del calcio di Platini). Siamo così andati avanti in tanti, quelli del partito del "io lo avevo detto" a sperare che dopo ogni barbarico intervento contro il calcio si potesse dire: "un giorno finirà". Ce lo faceva credere tutto quanto accadeva nei giorni immediatamente successivi ai misfatti. Le dure reazioni degli organi competenti alla salvezza di questo inarrivabile sport, le lacrime dei parenti degli innocenti, l'indignazione dei più. Perché non si pensi mai che "i più" sono i barbari schifosi che hanno impiccato il calcio. Non è così. I più sono quelli che non resistono al fascino dei colori delle loro ed altrui magliette variopinte che fasciano tanti ragazzi su tutti i campi del mondo alla r
icerca di un pallone da mandare in porta. Ed i più sono quelli che sacrificano anche questi momenti di sana evasione e partecipazione emotiva scegliendo le poltroncine di casa o i tavolini di un bar allestito da curva con annesso schermone adattato a freddo campo di calcio. Questi sono i più e sono tanti, quasi tutti. Ma ci sono anche "i meno", non sono pochissimi ma sono sempre tanto tanto "meno". Fate tutti i giochi grammaticali e linguistici che volete e aggiungendo a "meno" qualunque parola avrete sempre più un risultato devastante (es. menomati, meno sani, meno civili) e barbarico.
Oggi io non so più scrivere di niente su tragedie come quelle di ieri a Catania.
So che scriverei per nessuno, anzi scusate per "i più". Ma quelli non hanno bisogno delle mie opinioni tantomeno vivono emozioni e frustrazioni inferiori alle mie. Dovrei scrivere per "i meno". Sforzo inutile ed ulteriore offesa al mio cervello. Quelli là non sentono, non leggono, non amano, non si commuovono, non tifano, non muoino di malesseri da tifo. Quelli ammazzano ed ammazzeranno, anzi ci ammazzeranno. Perché se non delinquono in uno stadio c'è chi ce li presenta sulle nostre stesse strade qualche ora dopo aver ucciso. E che ci resta da fare ora? Chi fa il nostro lavoro non può certo arrendersi di colpo. Non può bloccare le sue idee e le sue passioni di schianto. Sarebbe un "meno" anche lui. O meglio un perfido o un arrugginito fifone. Quindi se troviamo il coraggio dopo la disperazione occorre scendere in guerra contro questi barbari schifosi. Ma per fare tutto questo non si può restare da soli o
in pochi ma urge che "i più" si abbraccino e dopo un lungo pianto lancino un'offensiva senza timore ma con tanto amore per una creatura che pensavamo un giorno potesse appartenerci ma che invece versa in stato profondamente comatoso. Proviamoci ancora e meglio, a cominciare dai toni di chi parla e al garbo di chi scrive. Non potrò mai rassegnarmi all'idea che lo stato comatoso dello sport più amato al mondo possa diventare irreversibile. Qui amici miei c'è da annientare i meno. Non ci rivolgeremo certo alle autorità Irachene o non disturberemo i clienti dell' Hotel barbarico di Guantanamo ma una bombettina confezionata con pattume di ogni tipo possiamo utilizzarla per le sporche facce di questi nauseabondi "meno".