Zaccheroni: "Non mi dimetto"
Accovacciato in un angolo, Franceschini piange distrutto. Comotto prova invano a consolarlo. Il pullman che deve riportare i granata a casa dopo il sesto ko di fila ha il motore acceso già da mezz'ora ma non può ancora partire. Manca Zaccheroni. Sta parlando con il capo, negli spogliatoi. Venti minuti di confronto. Poi, alle 21,25, l'arrivederci. Cairo e il suo allenatore continueranno a vedersi. Almeno fino a mercoledì pomeriggio, alla sfida dell'Olimpico contro il Cagliari.
Zac sale sul bus, il presidente esce frettoloso nell'antistadio e vola verso l'auto che lo attende. «Non parlo, ci sentiamo domani», dice ai cronisti appostati da tempo. Succede qualcosa, presidente? «Non succede nulla». Zaccheroni confermato, dunque. Anche successivamente, via sms. Ma la rabbia del numero 1 granata monta, insieme con la consapevolezza che, senza sterzate decise, questo Toro pare avviato irrimediabilmente a scivolare sempre più giù, fino alla serie B salutata a prezzo di immani sofferenze dopo tre anni. E allora, sempre più rumoroso, ecco che torna a risuonare il ritornello dell'ultima spiaggia. Punti contro il Cagliari, oppure si svolta. Con chi, però? Con una soluzione economica, fatta in casa. Un tecnico che ha un contratto con il Toro fino al 2008, quello cacciato a 3 giorni dal via: De Biasi, insomma. Che, guarda caso, oggi commenterà per il digitale terrestre Cagliari-Lazio. Oppure, alternativa di ripiego, l'allenatore della Primavera, quel Pigino che due anni fa diede un contributo determinante a Zaccarelli nella promozione poi vanificata dal fallimento.
Avanti con Zac, dunque. Ma con sempre meno convinzione. Cairo ha preferito non commentare l'ennesima disfatta ma le sue espressioni colte dalla telecamere di Sky dicevano tutto. Con la squadra in silenzio-stampa a tempo indeterminato (un mutismo che ha corriposto ieri allo zero visto in campo), l'unica voce granata udita nel dopo Chievo è stata proprio quella di un allenatore impegnato ormai in una difesa complicata per non dire impossibile.
Zac non ha trovato replica soltanto all'imbarazzante rilievo statistico propostogli da un cronista: «Due gol segnati nel primo tempo in 24 partite: se non è un record mondiale poco ci manca. Più che di approcci sbagliati, si dovrebbe parlare di difetti di costruzione, di problemi di testa». «E' così, di fronte a dati di fatto, mi piego», ha annuito Zac che in precedenza le aveva provate tutte per blindare il suo lavoro, seminare speranze, trovare motivi di fiducia. Si era spinto persino a dire: «Rispetto alla Lazio siamo andati un pochino meno peggio, la squadra non ha mai mollato, ha provato a fare».
Il problema è che, ancora una volta, non c'è riuscita. «E' un momento di difficoltà. Siamo tutti amareggiati, soprattutto perché sappiamo che possiamo fare molto di più. Ci manca la tranquillità. Abbiamo giocato troppo poco serenamente. Ma la società e la squadra sono con me, lo sento». Sensazioni che è sempre più difficile condividere. Zaccheroni, beato lui, s'aggrappa a una certezza: «So che ne usciremo. Le dimissioni? Non sarebbe onesto né corretto lasciare perché sono convinto di ottenere l'obiettivo che ci eravamo imposti. Se ne viene fuori non parlando, ma agendo».
Forse è anche per questo che il Toro non è tornato subito in ritiro. Tutti a casa, a provare a rilassarsi in famiglia. E magari a sperare nella cabala. Nella legge granata che vuole la prima partita post-ritiro finire sempre male (0-2 con il Verona nel 2005, 0-1 a Piacenza un anno fa) e dalla seconda cominciare la riscossa. Venerdì Zac aveva assicurato: «Questi 4 giorni a Desenzano mi hanno soltanto dato segnali positivi». Ieri, dopo uno 0-3, ha ribadito: «Il ritiro sul lago è servito». Per il momento, soltanto a scivolare un po' più giù e a far scoppiare il caso Rosina.