Mercato Juventus: azzardo o coraggio?
Premessa doverosa: i conti si fanno, sempre e comunque, alla fine. Detto questo, fatto un passo in avanti, la Juve dà l'impressione di farne uno indietro. L'estate dell'anno passato era quella della ricostruzione, del ritorno, delle rivincite contro i pronostici. Sul mercato, era quella del "dateci tempo, più di così, adesso, non si può". Questa, di estate, doveva (forse poteva) essere quella del rilancio, delle scommesse vinte e delle promesse mantenute. Perché se un anno fa bastava restare a contatto, "rompere le scatole", come usava dire Ranieri, ora tutto questo non basta più. Gettate le basi - qualche risultato di prestigio, una stagione comunque convincente, un gruppo di giocatori che assomiglia già ad una spina dorsale -, questo mercato doveva servire a mettere in piedi il resto del palazzo, chiamato a non sfigurare troppo rispetto a quelli dei dirimpettai, nerazzurri e rossoneri soprattutto. L'ambiente ed i tifosi, insomma, dopo aver cercato rivincite e la conferma di poter essere ancora "Juve", un anno fa, ora si aspettano invece di tornarci davvero, o almeno poter ambire a farlo, dove la squadra era prima di quel che è successo, prima di quel che si sa.
La Juve, si era detto mesi fa, avrebbe preso tre campioni almeno, uno per ruolo. Tutti, tranne forse i tifosi meno avveduti, sapevano bene fin dall'inizio che la Juve, questa Juve, non poteva puntare (ancora) a uno dei top player del mercato. Ai fuoriclasse fatti e finiti, per intenderci, se questo poi significa realmente qualcosa. Niente Lampard o Gerrard, tanto per dire, niente Ronaldinho o Adebayor, Fabregas o Eto'o. E' arrivato, allora, Amauri, ovvero probabilmente il meglio sul mercato che non faccia parte per il momento e fino a prova contraria della categoria suddetta. Un gran colpo, non c'è che dire, perché, che piaccia o meno, il brasiliano (magari prossimo italo-brasiliano) faceva gola a molti e potrebbe aspirare ad una maglia da titolare in molte delle big d'Europa. Poi, però, francamente poco altro. Amauri è arrivato a rinforzare il reparto che meno ne aveva bisogno, anche se è vero che, giocando anche la Champions, ricambi di valore assoluto sono indispensabili.
Bene i rientri dei giovani, da Marchisio a De Ceglie, fino e soprattutto a Giovinco. Bisogna chiedersi, però, quanta fiducia verrà loro concessa, quanto spazio avranno, eventualmente, per imporsi. A dire dalla campagna acquisti, per ora, non molto. C'è poi, ed è il nodo attorno a cui ogni giudizio prende forma, il centrocampo. Se c'era un ruolo, uno solo, nel quale la Juve aveva bisogno della svolta, del colpo, della superstar, era quello del centrocampista centrale. Del regista. Che fosse uno dai piedi delicati e dalle geometrie perfette (alla Xabi Alonso) o magari uno dal dinamismo spiccato, dal carisma e dalla visione di gioco di un Lampard, poco importava. Quel che è certo è che uno dei pochi punti deboli (accanto alle amnesie difensive) della Juve passata era stata l'incapacità di creare gioco in mezzo, nelle giornate no di Camoranesi e Nedved e quando l'avversario non concedeva spazi per il contropiede. Ecco, è arrivato Poulsen, apriti cielo. Senza ripetere quanto sentito e risentito in queste settimane e senza affiancarsi ai tifosi, che, comprensibilmente, sognavano qualcuno di più "simpatico" e qualcuno di più dotato, si fa comunque fatica a capire a cosa possa portare il danese.
Un salto di qualità? Non crediamo. Un cambio di modulo, verso il 4-3-3? Forse, ma rinunciando ad uno tra Camoranesi e Nedved (o ad un attaccante). Il che, tra l'altro, chiuderebbe ancor di più la porta a gente come Giovinco e Marchisio. Ora le voci del calciomercato dicono già che la Juve potrebbe pensare ad un ulteriore centrocampista - oltre ad un difensore per sostituire lo sfortunatissimo Andrade -, il che smentirebbe di fatto il problema economico per arrivare a Xabi. Insomma: confusione. E se poi quel centrocampista fosse magari Stankovic, in attesa del verdetto del campo, capace di smentire in qualche mese tutte le nostre chiacchiere e le lamentele dei tifosi, ai dirigenti Juve di una cosa bisognerebbe davvero dare atto: il coraggio non manca.