Barcellona, è Guardiola-mania

Lui non fa nulla per alimentarla, ma forse per questo il fenomeno continua a crescere e in Spagna alla vigilia della finalissima di Roma è 'Guardiola-mania'.
"Pep, simbolo, Pep, mito" dice di lui El Pais. A 38 anni, alla prima panchina di Liga, è già uno dei personaggi più popolari del Paese. Negli ultimi giorni è entrato nelle 'nominations' per il Premio Principe di Asturie 2009, il Nobel spagnolo. Lui però si è schermito, ha spiegato di essere troppo giovane: "é prematuro, molti altri lo meritano più di me" ha spiegato. Cosi è fatto Pep Guardiola, l'uomo che, se il suo Barca vince mercoledì a Roma, farà urlare di gioia tutto un Paese e darà alla squadra una primo, storico, en plein: Liga, Coppa del Rey, Champions. Un personaggio atipico in quello che è oggi il mondo del calcio, una sorta di anti-Mourinho. Ha preso in mano una squadra allo sbando, in crisi di fiducia. Con gli stessi giocatori, anzi perdendo Ronaldinho e Deco l'ha trasformata in una gioiosa macchina da guerra: gioco frizzante, filosofia d'attacco, gruppo coeso, uno per tutti tutti per uno. Modesto, lui dà tutto il merito ai giocatori. Non si è mai proclamato il 'numero uno' anche se in Spagna lo è senz'altro e forse dopodomani in Europa. "Ha saputo galvanizzare i suoi giocatori e insieme dare loro tutto il merito dei trionfi. La sua umiltà talmente rara è davvero un esempio" ha scritto la rivista Tiempo.
Quando Roma sarà passata, Pep dovrà farsi "una dormita impressionante" prevede Xavi. "Lui dà tutto, non si concede un attimo di respiro.
E' un malato del calcio, non so se si rende conto con quale intensità". Sua mamma Dolors ricorda quando iniziò a 13 anni con i pulcini del Barca. Vinse un premio come miglior giocatore di un torneo. Sulla foto di allora lo si vede ricevere il trofeo piangendo. Non per la gioia ma perché, spiega sua mamma, aveva mancato un rigore.
Il Barca di Guardiola, in pochi mesi si è trasformato anche nello stile avvicinandosi a quello del suo allenatore: lavoro, lavoro, ritorno ai valori in una sorta di grande famiglia, un concetto chiave per Guardiola. Lui viene da una famiglia "molto umile, molto onesta, ma sono tutti molto brillanti, e nulla ha influito su di lui quanto la famiglia" spiega lo scrittore David Trueba, suo grande amico. Subito dopo la sua sorprendente nomina alla guida della prima squadra al posto di Frank Rijkaard, Guardiola ha trasformato tempi, atmosfera, filosofia degli allenamenti. Prima colazione tutti insieme, niente ritardi, pranzi o cene di nuovo insieme, con lo staff tecnico, con le mogli, anche con i bimbi. Regole chiare per tutti e da tutti accettate senza musi, senza scenate. Nessuno sfugge alle multe per i ritardi, anche di pochi minuti, che vanno in beneficenza.
"Pep ha messo tutti in file, e questo si vede nel rendimento" rileva Johan Cruyff, allenatore del 'dream team' degli anni 1990, quando Guardiola in campo era il cervello della squadra. "Lo stile di fronte alla cultura del successo", titola El Periodico paragonando Guardiola e Sir Alex Ferguson, i due avversari di Roma. Ma Pep "ha ancora l'anima del bimbo che giocava al pallone nelle strade del suo quartiere", dice Trueba, ricordando la corsa sfrenata dopo il gol del pareggio di Iniesta al Chelsea, al 93' minuto: "per 15 secondi ha dimenticato che non era più il raccattapalle, poi se ne è ricordato e si è rimesso a posto la cravatta: accidenti, ora sono io l'allenatore!".