Scandalo inno in Spagna, trovato il colpevole

a squadra di calcio del Barcellona è l'orgoglio e l'espressione della Catalunya al punto che quando si partecipa alle sue conferenze stampa, persino a quelle in Champions League, bisogna prepararsi al fatto che Guardiola e la maggior parte dei suoi giocatori rispondono in catalano alle domande, evitando con cura il castigliano che è la lingua ufficiale della Spagna. Quanto all'Athletic di Bilbao è il club più nazionalista del pianeta, l'emblema del mondo basco: l'unica società il cui statuto stabilisce che possano giocarvi soltanto ragazzi nati nelle sei province di Euskadi e in Navarra, oppure che siano cresciuti nei settori giovanili di quell'area geografica, o che provengano da lì i genitori, com'è il caso di Fernando Amorebieta, l'unico forestiero del gruppo perché è nato in Venezuela. Insomma bisogna avere il sangue "doc" e se in passato c'è stata qualche apertura agli stranieri, i più graditi erano i francesi delle province basche, come Lizarazu, o come sarebbe stato Didier Deschamps, che fu contattato sul finire della carriera. Spagnoli, nell'Athletic, non ce ne sono mai stati, neppure sotto il franchismo.
E' comprensibile che quando si è prospettata la finale di Copa del Rey tra due realtà del genere, al cui confronto il federalismo della Lega Nord scompare, gli spagnoli fossero preparati a qualunque esibizione. «Siamo nazioni d'Europa, arrivederci Spagna», recitava un enorme cartello nello stadio Mestalla di Valencia, dove si è assegnato l'equivalente della Coppa Italia. Si era rassegnati persino alle contestazioni al re Juan Carlos e alla Marcha Real, uno dei rari inni nazionali che non ha un testo per evitare polemiche sulla lingua in cui scriverlo. Alla prime note, lo stadio si è unito in una fischiata collettiva: catalani e baschi coalizzati dallo stesso sentimento contro lo Stato centrale.
Era previsto ma alla Tve, la televisione nazionale, si sono imbarazzati e mentre la banda dei suonatori e le migliaia di tifosi facevano a gara su chi manteneva il volume più alto, il collegamento è passato a Bilbao e a Barcellona per due servizi di "colore" che hanno evitato ai teleutenti di ascoltare lo scempio dell'inno. Più tardi, quando il regista ha mandato la registrazione della scena, il sonoro era stato ripulito dai fischi e le immagini riprendevano i gruppetti che in tribuna si erano astenuti dalla contestazione.
La censura ha creato più scandalo dei fischi. Politici della maggioranza e dell'opposizione hanno sostenuto che «la bandiera e l'inno sono rispettati dalla maggioranza dei cittadini, così come la monarchia» ma nessuno è andato oltre una dichiarazione «di profonda pena e tristezza perché cose del genere non succedono negli altri Paesi europei». E, a chi chiedeva al governo di imporre «il rispetto dei simboli dell'ordine costituzionale», un senatore del Partito nazionalista basco ha risposto ironicamente che «quando si celebrava la Coppa del Generalissimo non si poteva fischiare niente».
La vera polemica è esplosa invece sulla decisione di tagliare l'episodio e di non far sentire l'inno al pubblico televisivo nel modo in cui era stato eseguito, fischi compresi. «E' uno scandalo», ha commentato la deputata Rosa Diez e i vertici della tv di Stato sono corsi ai ripari scaricando ogni colpa sul capo dei servizi sportivi, Julian Reyes, che si è dimesso. «Lui è il massimo responsabile per quanto è accaduto - lo ha scaricato il direttore di Tve, Javier Pons - Non ha trasmesso l'inno nazionale in diretta nonostante le indicazioni che aveva ricevuto espressamente».
Il giornalista si è giustificato con i suoi capi parlando di un errore tecnico. Non è stato creduto. E mentre a Girona un tifoso del Barça moriva festeggiando la vittoria per 4-1 di Messi e compagni e a Barcellona scoppiavano incidenti tra i tifosi scesi in piazza e la polizia, con 109 feriti e 45 arresti, Reyes ha preso le proprie carte e se ne è andato dall'ufficio. Convinto che d'ora in poi certi imbarazzi li proverà col fischio.