TMWmagazine - Canovi: la dinastia dei procuratori
Di padre in figlio. Dario, Alessandro, Simone. La dinastia dei Canovi si racconta, nel suo ufficio di Roma. Zona signorile, fuori c'è il sole e la neve è solo un lontano e freddo ricordo. Guardano al passato, al presente ed al futuro. Dagli albori al domani, svelano i loro segreti e le loro speranze. Inizia l'avvocato Dario Canovi, il capostipite di questa fortunata generazione, e parte guardando lontano. Lontanissimo. "Nel '68 ero in Canada, a Montreal. Lì sono diventato avvocato ed anche cittadino canadese".
Partiamo da lì, allora. Dal Canada. "Ero direttore dell'associazione emigranti, una sorta di piccolo parlamento consultivo. Mi sarebbe piaciuto anche fare il giornalista, ma nel mio destino c'è sempre stato quello dell'avvocato, ho anche due lauree in giurisprudenza. In vita mia ho viaggiato tanto, anche grazie al mio incarico di legale del costruttore Mario Genghini".
Ha qualche ricordo particolare? "Tanti, tantissimi. Per lui sono andato anche in Iraq, a Baghdad. Era una città molto europea, nei ristoranti si poteva anche bere. Ricordo, come fosse oggi, che nelle strade tutti suonavano il clacson. Sempre. E poi quell'albergo... Aveva tutte mattonelle diverse, e non certo per una scelta stilistica. Partivo il venerdì, lì è giorno di festa, contando il ritorno in Italia lavoravo sette giorni su sette. Poi la Nigeria, il Guatemala, l'Arabia ed un incontro che non scorderò mai". Prego. "Con Rafiq Hariri, è stata un'esperienza eccezionale. All'epoca era un giovane libanese, poi è stato anche primo ministro libanese, tragicamente assassinato in un attentato. Ho fatto un viaggio in aereo con lui, da Ginevra a Riyad e posso dire di aver imparato più in quelle sette ore che in sette anni di vita".
Anche nel calcio, lei ha incontrato grandissimi personaggi. "Mantovani, Viola, Pellegrini, Sensi. Solo per dirne alcuni e senza voler fare un torto a nessuno, è chiaro". Inoltre ha sempre stretto un grande rapporto coi suoi assistiti. "Prima parlavo di Mantovani, una persona con la quale ho intrapreso lunghe chiacchierate di lavoro grazie a Toninho Cerezo. Due persone divertenti, con un sense of humour incredibile. Sul menù di nozze di Victor Munoz, i giocatori della Sampdoria hanno apposto le loro firme con una scritta chiara. 'Rinnoverebbe il contratto di Cerezo per cinque anni?'". E la risposta di Mantovani? "Fu chiara: 'per uno sì'. E mantenne la promessa. Un'altra volta, invece, gli promise il rinnovo con una firma sulla mano, io dissi a Cerezo di andare subito all'ufficio fotocopie... Toninho, però, mi ha regalato tanti, tantissimi momenti belli". Via con l'aneddoto, allora. "Una volta lo aspettavo a pranzo. Arrivò alle venti. Vide dei ragazzetti che giocavano a pallone all'Eur e si fermò per tutto il pomeriggio a giocare con loro. Un'altra, invece, doveva venire a cena il venerdì sera con Bruno Conti. Il giovedì sento suonare il campanello: avevano sbagliato giorno. E' una persona unica, con un cuore grande così e che aiuta molto anche i ragazzi sfortunati in Brasile".
La sua carriera da agente, però, non iniziò con lui. "No, chiaro. Tutto ebbe inizio con Giancarlo Morrone, quando militava nell'Avellino. Grazie a lui sono diventato il primo avvocato fiduciario dell'Assocalciatori. Dopo di lui Montesi, Viola, D'Amico e tanti altri. A Montesi sono legati ricordi importanti". Fu colui che fece scoppiare lo scandalo scommesse. "Qualcuno cercò di indurlo a truccare la gara contro il Milan, non riuscì a tenersi tutto dentro e lo raccontò alla stampa. Fu squalificato per sei mesi per omessa denuncia ma era un calciatore tutto d'un pezzo, impegnato politicamente e culturalmente".
La lista di chi ha assistito nel corso della sua carriera è lunghissima. "Da Bruno Conti a Scifo, da Collovati a Tacconi, da Balbo a Falcao, da Dossena a Lorieri, da Robbiati a Renica, chi in un'occasione chi in un determinato periodo, chi per tutta la sua carriera. Ma potrei continuare a lungo...".
Parliamo di Falcao. "Aveva problemi con la Roma, io fui contattato dal suo agente Colombo. Era a fine contratto, mi contattò per il passaggio all'Inter. Era tutto fatto ma poi arrivò un telegramma di rinuncia da parte dei nerazzurri". Con un retroscena davvero gustoso. "Già. Viola, presidente della Roma e grande amico di Andreotti, avrebbe chiamato Fraizzoli, che era il presidente dell'Inter. Raccontano di una domanda chiara: 'fornisci le divise ai militari?'. 'Le fornisco anche ora...". Ecco. Sfruttando l'amicizia importante, Viola avrebbe convinto l'Inter a rinunciare. Chissà se è andata davvero così. Quel che è certo è che poi il rinnovo di Falcao si firmò nello studio di Andreotti".
A proposito di presidenti, lei ha avuto a che fare anche con Pontello della Fiorentina. "Il Conte mi chiamò perché voleva che lo aiutassi con Socrates, purtroppo scomparso poche settimane fa. Voleva che lo aiutassi a venderlo: Pontello mi dette un pacco di scontrini dell'autostrada. Erano tutti delle quattro di notte, il casellante di Montecatini li portava spesso al Conte che non poteva né voleva tenere il brasiliano ancora in squadra".
Tra le grandi, ha fatto spesso affari anche con l'Inter. "Il presidente Pellegrini faceva fare la perizia grafica ai giocatori. Li invitava a cena, questi firmavano un autografo con la scusa di una dedica e poi Pellegrini li faceva analizzare dalla moglie. Chissà se è per questo che l'Inter non prese Guardiola...".
Guardiola? "Già. Lui e Stoichkov. Dovevano trasferirsi all'Inter, nel '93, andai a Milano con l'agente Josep Minguella. Credo sia stato per decisioni tecniche di Bagnoli che poi preferì Jonk e Bergkamp, ma chissà se anche lui non avrà passato l'esame di grafologia".
Ebbe a che fare anche con una grandissima figura del calcio italiano: Enzo Bearzot."Sono stato il suo difensore d'ufficio, era stato querelato da due giornalisti. Il pretore mi dette questa nomina, chiamai in Federazione un po' imbarazzato ma l'incarico fu confermato. Poi il giornalista rimise la querela e ricordo ancora la frase di Bearzot in tribunale. 'Si ricordi che non gliel'ho mai chiesto' gli disse con fare burbero".
Non solo pallone, però, tra i suoi assistiti annovera anche rugbisti e schermidori. "Si, anche medagliati importanti. Quella del rugby è sempre stata una mia passione: ho giocato da giovane, come trequarti, ma pesavo sessanta chili bagnato. Mi sono distrutto un ginocchio in una partita, quando ero al San Gabriele contro il Liceo Righi: mio fratello fece la meta decisiva, ma i giornali sbagliarono e risultai io come il match winner".
Alessandro Canovi lo ascolta, poi si confessa. E' il primo dei due figli della dinastia. Nato coi giovani, "con Di Vaio, Nesta, Fiore e Baronio", è anche lui laureato in giurisprudenza."E' chiaro che questo cognome sono stato agevolato, ma altrettanto giudicato -esordisce sincero-. Il primo incarico, la prima esperienza, è stata da portantino: dovevamo fare Scifo dal Torino all'Auxerre, così affittai una macchina ed andai in Francia per chiudere l'accordo, perché nessuno mi conosceva. Neanche Vincenzo e, quando arrivai davanti a lui mi disse 'e tu chi sei?'". Tanta esperienza, ma anche tanta gavetta. "Ripeto, ho iniziato coi giovani che mi hanno regalato importanti soddisfazioni. Però ad un certo punto della carriera, lavorare era difficilissimo. Con la prima Gea, soprattutto, il mercato era saturo e non era possibile emergere".
E come cercò la rinascita? "All'estero. Scappai dall'Italia, fuggii. Lo feci grazie ad Alessandro Gaucci, una persona che non finirò mai di ringraziare. Mi mandò in Cina e Giappone, fu un'esperienza meravigliosa. Di vita, è chiaro, ma anche di lavoro: portai in Italia Ma Mingyiu".
Il capitano della Cina. Da noi, però, non ebbe grande fortuna. "Con lui e da lui, però, è ricominciata la mia vita professionale. E' stata un'esperienza unica, e poi il ragazzo è di un livello umano incredibile. Così come Jorge Cysterpiller, l'altra figura grazie alla quale ho potuto vivere una seconda carriera. Organizzava servizio hosting per le competizioni sudamericane ed è grazie a lui, nel '99, che sono venuto a contatto con il mondo asiatico, conoscendo l'allenatore del Giappone che partecipava alla Coppa America del '99, Troussier".
Nella sua geografia, c'è anche tanto spazio per la Spagna. "Anche adesso faccio la spola tra Roma e Barcellona, dove ho uno splendido figlio. E lì, in Catalogna, ho conosciuto Thiago Motta. Nell'interregno che ha portato poi alla presidenza di Laporta, per motivi di bilancio, stavo per chiudere col Milan uno scambio tra lui e Josè Mari. Poi al Barça si è perso, con lui ho interrotto i contatti per due anni".
E come sono ripresi? "Era in difficoltà, dopo gli infortuni, dimenticato da tutti. Aveva un'offerta dall'Inghilterra, dal Portsmouth. Mi chiamò suo padre, l'affare non si chiuse. Così decisi di proporlo a Preziosi, che con suo figlio Matteo sono due dicevano che non si sarebbe più ripreso dagli infortuni. Fece due visite, di nascosto, a Pavia ed a Milano: tutti pensavano che il Genoa avrebbe preso Appiah, ma la trattativa si chiuse a Desenzano. Sono stato ottimo mediatore tra le parti: riuscii a farli incavolare entrambi con me, in modo che si amassero subito. Thiago Motta deve la sua carriera, la sua rinascita, a Preziosi ed è il calciatore che mi ha dato più soddisfazioni morali e professionali".
Poi l'Inter, infine il PSG. "Le mie parole sono state la rottura definitiva, Thiago voleva andare a Parigi. E così è stato, è felicissimo di questa sua nuova avventura".
Il lavoro e i sogni, come scuola di vita. Simone Canovi sorride. "Perché queste storie le sento, le ascolto da quando sono piccolo. Figuriamoci che a scuola le uniche assenze le facevo per stare con mio padre, per viaggiare con lui. Però mi davano i giocattoli ed io preferivo assimilare le loro discussioni".
Agente di calciatori per scelta o per conseguenza? "Lo faccio perché non ho mai pensato ad un'alternativa. Ho una laurea in giurisprudenza, un master in business amministrativo, ma a diciotto anni pur di stare in ufficio mettevo in ordine l'archivio pur di stare qui. Il classico lavoro che nessuno voleva fare, io ero ben felice di farlo".
E sul campo come e quando inizia? "Con Fabio Quagliarella. Era il '98, faceva il Viareggio sotto età con il Torino. Ero sugli spalti, a vedere una partita e Lattuca, un agente amico di mio padre che mi insegnava i trucchi del mestiere, mi disse: 'torna con 6 numeri di telefono e 3 giocatori da prendere in procura'. Tornai con 10 numeri e 5 giocatori, tra i quali c'era anche Fabio".
E come lo conobbe? "Eravamo nello stesso albergo, quindi casualmente. Nel calcio, talvolta, le cose iniziano anche così. Era da due anni al Toro, poi passò alla Fiorentina ma Vierchowood non lo voleva. Invece, guardate che carriera ha fatto Fabio...". Sotto gli occhi le saranno passati centinaia di calciatori: c'è qualcuno che ha smarrito un talento infinito? "Un nome su tutti: Gasperino Cinelli. E' stato il miglior giocatore di un Viareggio, con la maglia della Lazio, era un Cassano. Doti incredibili, giocate pazzesche: era considerato uno dei talenti del calcio italiano, uno su cui costruire anche il futuro della Nazionale. Adesso è tra i Dilettanti, perché evidentemente non ha saputo reggere la pressione".
Proprio coi giovani e dai giovani è giusto ripartire. "Crescerli e vederli sbocciare è la gioia più grande per un agente. Uscire dal settore giovanile è come uscire dal collo della bottiglia: per loro è un momento delicatissimo, soprattutto per il fattore psicologico. E qui il procuratore deve intervenire, per supportare l'assistito in tutto e per tutto. Adesso li supportiamo anche dal punto di vista fisico, dando loro dei programmi personalizzati con dei preparatori ad hoc. Cerchiamo di fargli dare il massimo, di farli arrivare al massimo e di non fargli mai avere un rimpianto in carriera".
C'è un giovane sul quale scommetterebbe? "Tanti, è chiaro. Ma con Fernando Forestieri ho un rapporto simbiotico, è per me quasi un fratello minore. In Argentina lo chiamavano 'El Topa', la ruspa, perché da solo scartava tutti e vinceva le partite da solo". A proposito di singoli. A proposito di assistiti. La dinastia si riunisce intorno ad un tavolo."Dipingereste un undici ideale dei vostri assistiti?". Tornano bambini. Dario Canovi, il padre, coi figli Alessandro e Simone. Studiano e riflettono. Discutono. Cambiano schema, cambiano gli uomini, tanti sono i giocatori di qualità e valore assistiti e supportati nel corso degli anni. "Lorieri tra i pali. Poi Sensini e Nela terzini. In mezzo mettiamo Nesta e Ferri. A centrocampo Di Biagio con Thiago Motta, Falcao e Cerezo. Davanti Bruno Conti e Giordano. Ma Rummenigge? E Manfredonia? E Dossena? E Platt? E Tacconi? E gli altri?". Scene di famiglia. Scene di una dinastia vincente, quella di casa Canovi.