Totti sul podio dei Re. Il cambiamento da Piola a Batistuta
C'è un qualcosa di magico nell'immagine di Francesco Totti fra le braccia di Marquinho, Destro e Lamela, con Florenzi che guarda affascinato il proprio Capitano assurgere alla posizione di ottavo Re di Roma. Succede quando il numero dieci romanista tocca in rete il suggerimento proprio dell'ex crotonese (voluto? sperato certamente), insaccando dietro le spalle di Batman Romero, che poi terrà fede al proprio nomignolo volando da una parte all'altra. Festa rovinata, dunque, ma l'Olimpo è davvero lì a un passo: Francesco Totti, con il gol di ieri - non il più bello, ma nemmeno il più contestato - ha agganciato altri due mostri sacri del calcio nostrano: Giuseppe Meazza (che però ha una media reti più alta della sua) e José Altafini. Totti è ora a nove gol da Gunnar Nordhal e a 58 da Silvio Piola: difficile che nelle prossime due stagioni riesca a raggiungerlo, giacché il suo contratto scade il 30 giugno 2014, sulla soglia dei 38 anni. Oggi è il suo compleanno, Chapeau, ma ne compie 36 e la carta d'identità non guarda in faccia a nessuno.
Nella nostra panoramica dei dieci cannonieri di tutti i tempi, i compagni di Totti, partiamo dal decimo posto, quello di Gabriel Omar Batistuta: il bomber argentino - ora segretario del Colon di Santa Fè - era arrivato in Italia a un Viareggio e, come per altri suo colleghi, giudicato troppo grezzo per potere giocare il campionato del Belpaese. Il più bello del mondo, come tutti lo dichiaravano in quegli anni, vicini a Scommessopoli prima e seconda versione, lontani da Calciopoli e dal fair play finanziario. Nella Coppa Carnevale, nonostante una tripletta, è ritenuto acerbo (è successo anche a Vieri) e non viene acquistato dalle italiane: giocava nello Sportivo Italiano in prestito dal Newell's Old Boys. Passerà in due anni al River Plate e poi al Boca, prima di approdare in Italia. 184 gol in A, con una parentesi di 16 in B, che lo fanno il decimo cannoniere di sempre, con quella mitraglietta spianata e la capacità di andare in doppia cifra per dieci anni consecutivi.
Ottavo posto (a parimerito) per due grandi giocatori, profondamente diversi: uno è Alessandro Del Piero, ancora in attività, finito al Sydney FC per concludere una carriera che in Italia l'ha visto solamente con la maglia della Juventus. Le splendide parabole a girare, la Champions e l'Intercontinentale, il sospetto di doping, l'infortunio del 1998... e poi la maledizione dell'Europeo 2000, giù fino al Mondiale 2006. Pinturicchio come Godot, come lo chiamava l'Avvocato Agnelli, si è fatto aspettare ma è riuscito a imprimere una nuova era della juventinità: perché la sua immagine è sempre rimasta linda e immacolata. Al contrario di Giuseppe Signori, bergamasco di Alzano Lombardo che ha fondato le sue fortune al Foggia di Zdenek Zeman: un sinistro magnifico, la velocità e il morso di un serpente, i tifosi che scendono in piazza per esortare Cragnotti a tenerlo nonostante l'abbia ceduto al Parma. Fissa un'epoca, Signori, e rientra dalla finestra per via di Scommessopoli. Non una bellissima fine.
Kurt Hamrin - 190 gol - invece era uno zincografo, un nordico di modeste origini che, in Svezia, aveva vinto la classifica cannonieri: campionato non professionistico, compenso a partita vinta o pareggiata (ma non persa).
Giovanni Agnelli lo prese alla sua Juve - non si sa se dietro consiglio di un minatore o per averlo visto in un match internazionale della sua Svezia -, e da lì incominciò un lungo girovagare con particolare predilezione per la Fiorentina, come Batistuta. L'Uccellino in una partita, in trasferta, segnò addirittura 5 reti a una sventurata Atalanta (ancora record imbattuto), ma aveva una particolarità: giocava da ala destra e non da attaccante.
Sesto posto per un grandissimo numero 10, forse il migliore italiano di sempre: Roberto Baggio, 205 gol divise fra Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia. Un divin girovago, dai piedi fatati e dalle intuizioni geniali, uno degli ultimi trequartisti vecchio stampo riciclatosi poi in seconda punta in nome dell'equilibrio tattico e del 4-4-2 tanto in voga in quei tempi. Fu oggetto anche di un rifiuto, da parte di Ancelotti, a Parma: dovuto anche alla posizione di Enrico Chiesa che, con Crespo, formava una coppia d'Oro e forse non voleva l'ingombrante figura allungarsi sul proprio posto da titolare. Anche qui, come Signori, un vero peccato: chissà se lo vedremo dietro una scrivania o da allenatore?
Balzo verso la terza posizione, perché dopo Baggio tocca alla coppia José Altafini-Giuseppe Meazza, interpreti di due generazioni di calcio estremamente differenti: Altafini, oriundo italiano, prese parte al Mondiale 1958 con il Brasile (in Svezia, vinto da un fantastico Pelé) e quello del quadriennio più tardi con l'Italia, prendendo parte alla spedizione che finì con lo scandalo cileno del 1962. Nel frattempo una carriera strepitosa, 18 campionati tra Milan, Napoli e Juventus, con i rossoneri che videro il talento cristallino dell'italobrasiliano che in sette stagioni segnò 120 reti: uno score pazzesco, salvo poi flettere fra Napoli e - soprattutto - Juve. Meazza, probabilmente, avrebbe battagliato con Piola fino alla fine per lo scranno di massimo goleador, ma la sua carriera è durata solamente 15 anni per colpa della Seconda Guerra Mondiale. Giusto in tempo per sfondare quota 200 e arrivare, appunto, a 216: non giocò mai nel Milan, ma nell'Associazione Calcio Milano: i rossoneri avevano cambiato denominazione nel 1939 per colpa delle autorità fasciste e quel nome troppo anglofono non sarebbe stato corretto. Un altro calcio.
Saltando Totti, passiamo direttamente al secondo posto della classifica, con Gunnar Nordhal, altro nordico, altro svedese come Hamrin e migliore attaccante della storia del Milan: anni immediatamente successivi a Meazza, i rossoneri avevano ripreso la propria denominazione e Nordhal, con Nils Liedholm e Gunnar Gren formava il tridente più acuminato della storia (fino ad allora). Un trio che potrebbe essere accostato a quello olandese degli anni 90: duecentodieci gol in 7, con punte di 35 e 34. Una vera macchina. Salvo poi passare alla Roma e concludere la carriera da allenatore/giocatore. Incredibile il palmares con la Svezia: 43 gol in 33 partite, tutte giocate prima di arrivare in Italia (all'età di 28 anni).
E poi, fuori da ogni classifica e da ogni tempo, Silvio Piola: dai sedici ai quarantuno anni, una vita per il calcio, un Mondiale sfiorato (nel 1934 non venne convocato nonostante i 15 gol con la maglia della Pro Vercelli) e uno vinto nel 1938. Il pallone era probabilmente antico avo di se stesso, e Totti in queste condizioni è destinato a non reggere il confronto anche perché, appunto, la carta d'identità e gli anni passano per tutti: Silvio Piola aveva la fortuna di giocare un calcio più povero e diverso, ma le 274 reti sono talmente lontane che - almeno per un po' - non ci sarà bisogno di scomodarlo. Invece Nordahl è lì, a un tiro di schioppo: e Florenzi, che di Capitan in Capitan potrebbe diventare un futuro pilastro della Roma, sarà lì ad ammirare Totti ancora una volta.