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Età media in Lega Pro, quella tagliola che non piace a nessuno

Età media in Lega Pro, quella tagliola che non piace a nessunoTUTTO mercato WEB
© foto di Luigi Gasia/TuttoLegaPro.com
giovedì 15 agosto 2013, 11:152013
di Stefano Sica

Età media o minutaggio. Una dualità che sta arroventando l'estate dei club di Lega Pro, alla ricerca di certezze e rassicurazioni per accedere ai contributi federali anche nella prossima stagione. Già a luglio dello scorso anno le linee guida dei recenti campionati di Prima e Seconda Divisione erano state determinate, consentendo alle società di poter agire sul mercato seguendo regole certe. Tesseramento di otto calciatori professionisti nati dopo il 1° Gennaio del 1990 in Prima Divisione, e 10 in Seconda, sempre nati dal 1990 in poi: questi gli obblighi per poter usufruire dei corrispettivi federali. Contestualmente all'utilizzo in partita di due under classe '92 in Prima Divisione e tre, sempre del '92, in Seconda. Qualche mese fa il presidente di Lega Mario Macalli ha pensato di irrigidire questi vincoli avvicendando il criterio del minutaggio con quello dell'età media dei giocatori impiegati in partita, immaginato inizialmente a 23 anni e poi portato ufficiosamente a non meno di 24 per entrambi i tornei di Lega Pro. Uno scenario che sembra irreversibile e su cui i margini di mediazione mostrano fiato corto. Tutto ciò nonostante, qualche settimana fa, in alcuni ambienti fosse stata accreditata l'indiscrezione di una conferma del minutaggio secondo le forme sperimentate negli ultimi 12 mesi. Restano le perplessità di moltissimi club di Lega. Palesi le difficoltà che già ora avvinghiano le varie dirigenze nella costruzione delle rose. Lo stesso rischio che limiterà l'autonomia degli allenatori nell'utilizzo sano e consapevole delle risorse a disposizione. Tra calcolatrici e carte di identità sarà arduo trovare la quadra per tutti. Per ora non c'è nulla di ufficiale. Slittato il summit tra l'AIC ed i vertici della Lega Pro (con la presenza del presidente Figc Giancarlo Abete), una decisione risolutiva sull'argomento dovrebbe essere portata a compimento soltanto nel corso della terza settimana di agosto. Un altro dei paradossi di questo governo del calcio, incapace di fornire risposte celeri e sicure alle società ma troppo spesso saccente nel voler indicare ricette taumaturgiche sulla strada del risanamento. Ma che questa normativa faccia acqua da tutte le parti appare solare anche per il più appassionato cultore del rampantismo giovanile nel calcio. E non solo per la contrarietà di tantissimi atleti e dirigenti, il vero motore del calcio giocato e non chiacchierato. Da mesi ne raccogliamo sospetti e lagnanze. E' evidente come questa riforma rappresenti l'ultimo baluardo di una crociata ideologica, quasi "etnica", contro chi "non ha l'età", per dirla con Gigliola Cinquetti. Tante volte, da troppi uomini di campo, ci siamo sentiti dire che un giovane, quando è valido, gioca sempre. Persino un'ovvietà, eppure omessa da chi oggi mortifica meritocrazia e valori acquisiti in nome di un rinnovamento che ha i piedi di argilla. Intanto, andrebbe ricordato che non esiste alcun nesso consequenziale tra l'utilizzo tout court dei giovani ed un rilancio della qualità tecnica del calcio di Lega Pro. Casomai si è rafforzato il processo inverso negli ultimi anni.

Men che mai ne scaturirebbe, come pure asserito con insistenza da Macalli, una rimessa in moto di quei club in difficoltà finanziarie. La prova di ciò sta nei lenti e tristi declini di quelle società che, pur avendo partecipato al banchetto delle ripartizioni economiche federali, non hanno vinto la loro partita per la sopravvivenza. E i casi sono recenti: le fasi crepuscolari di Tritium, Borgo a Buggiano, Andria, Treviso, Portogruaro e Campobasso, club che hanno aderito al minutaggio, non appartengono di certo ad un passato remoto. E, andando indietro nel tempo, sono numerose le vicende di quei club che hanno incassato fior di quattrini senza trovare mai una stabilità finanziaria. Questo per almeno due ordini di ragioni: da un lato, la scarsa tenuta dei tessuti economici locali, quando non addirittura la loro insensibilità alle vicende calcistiche del territorio. Da un altro, e questo è il tema più bruciante, l'assenza totale di una progettualità che partisse dai settori giovanili. Su quest'ultimo aspetto Macalli è da sempre silente. Va da sé che, a ben vedere, l'utilizzo incentivato dei giovani, così come avviene oggi, si svela come una grossa guarentigia verso le società di serie A le quali possano sversare i loro prodotti nelle categorie minori a prescindere da qualsiasi valutazione di natura tecnica. E, mentre in B ci finiscono il più delle volte under di prima fascia, in Lega Pro approdano (spesso, non sempre) seconde o terze scelte di cui solo una esigua percentuale riesce a ritagliarsi il sogno di una carriera vincente. E' così che si crea un corto circuito letale che fa saltare il principio secondo cui qualsiasi club di Lega Pro dovrebbe puntare intanto sui propri vivai per garantirsi un futuro solido e basato su un vero core business. Questo presuppone un lavoro lungo e difficile, ma ormai ineludibile. Le scuole di formazione in Francia ne sono un esempio virtuoso. Oggi non è così. E la seduzione di un introito facile prende il sopravvento sulla qualità dei campionati e sugli stessi obiettivi di breve durata. Macalli deve prendere atto che il suo schema è già fallito e va rivisto. Che ci sono altri modi per distribuire le risorse. Che non sono ammissibili forzature che mettano una toppa su una voragine. E, infine, che sarebbe sciagurato generare illusioni in tanti ragazzi che, nella maggior parte dei casi, si troveranno fuori dal sistema in ossequio a quell'incoerenza normativa che li ha in prima istanza avvantaggiati. Il criterio dell'età media è un mostro giuridico che peggiorerà solo il quadro clinico del calcio di Lega Pro. Gli si impedisca di proliferare. E l'AIC, se possibile, vada avanti in questa battaglia di civiltà.