Roma, Pjanic: "Garcia ha fatto sentire importante il gruppo"
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Intanto vi regaliamo da leggere l'intervista completa a Pjanic dello scorso mese di Calcio2000!!
Calcio2000, a tu per tu con Miralem Pjanic, gioiello della Roma che ha deciso di rimanere nella Capitale nonostante la corte serrata di numerosi (e munifici) estimatori.
Arriviamo a Roma Termini e saliamo sul primo taxi disponibile: "A Trigoria per favore, il centro sportivo della Roma". L'autista ci guarda incuriosito. Dopo qualche minuto scorgiamo un gagliardetto giallorosso penzolare dallo specchietto. "Oggi la Roma si allena solo al mattino - ci dice - se andate ora non trovate nessuno". "Abbiamo un appuntamento - rispondiamo - andiamo ad intervistare Pjanic". "Daveeeeero? Dije al nostro Giotto che deve rinnovà". Giotto, per i tifosi romanisti è Miralem, e ovviamente deve il suo soprannome al fatto che disegna calcio. Il centrocampista bosniaco, dopo qualche incomprensione con Zeman nella passata stagione, in quella appena conclusa si è ripreso la Roma. Per rubargli la metafora, Garcia ha rimesso "la chiesa al centro del villaggio". Poi, ci ha pensato Pjanic a trascinare la squadra con le sue meravigliose pennellate. E non è finita, perché adesso l'asticella si alza: "Ora voglio vincere con questa maglia perché, così, un giorno, la gente si ricorderà di me".
Miralem, partiamo dall'inizio di questa splendida avventura: papà Pjanic è stato un calciatore, dunque la passione per il pallone era inevitabile... "In realtà in famiglia sono tutti malati (ride, ndr). Comunque sì, mio padre ha giocato in Serie B jugoslava ed era anche piuttosto bravo. Poi, quando ero piccolo, ci siamo dovuti trasferire in Lussemburgo a causa della guerra e lì ha ricominciato: di giorno lavorava e la sera si allenava. E io con lui (ride, ndr). Lo seguivo sempre".
Ma è stato un papà pressante o ti ha lasciato tranquillo? "Ho il ricordo di quando finivo le partite e salivo in macchina e lui mi consigliava, mi faceva notare le cose che facevo bene e quelle in cui sbagliavo. Era però molto sereno, anche perché a quel tempo nessuno immaginava che potessi diventare un calciatore professionista. Giocavo semplicemente perché impazzivo per il calcio, ero sempre fuori casa e non rientravo mai, tanto che i miei genitori mi dovevano sempre venire a cercare. Solo che mi trovavano al solito posto, perché ero sempre al campetto con i miei amici (ride, ndr)".
Invece il piccolo Miralem come se la cavava a scuola? "Non potevo andare male, perché in quel caso i miei genitori non mi avrebbero più fatto andare a giocare a pallone. E questo per me sarebbe stato insopportabile, quindi a scuola facevo sempre il mio. Non posso dirti che ero un "secchione" ma comunque facevo sempre l'indispensabile per non avere problemi".
Mai pensato cosa saresti potuto diventare se non avessi fatto il calciatore? "Sinceramente no. Ricordo ancora quando a scuola ci avevano assegnato il tema: "Cosa vuoi fare da grande?". Tutti hanno risposto il medico, il pilota, io ho sempre detto che avrei fatto il calciatore, perché questo era quello che volevo fare. Tutti mi guardavano come fossi un pazzo, ma alla fine... (sorride, ndr). Ho anche rischiato, perché tutti sognano di fare il calciatore professionista, ma io ero sicuro che ce l'avrei fatta".
E invece a disegnare come sei messo? Sai che i tifosi della Roma ti chiamano Giotto? "Sì, lo so ed è un soprannome di cui vado orgoglioso, perché io gioco per divertirmi e far divertire i tifosi. Cerco sempre di fare giocate belle, ma che devono sempre essere funzionali all'interesse della squadra, se no è tutto inutile. Però, purtroppo, devo dire che col disegno non ci siamo proprio (ride, ndr)".
Prima hai accennato alla guerra in Jugoslavia: ovviamente tu non l'hai vissuta direttamente, ma i tuoi genitori ti hanno raccontato qualcosa? "Sì, più o meno. So tutta la storia, ma non è che sia un argomento proprio piacevole da affrontare. È stata una brutta pagina, speriamo che non succeda più, anzi non deve più succedere, però è ora di girarla e guardare avanti".
Sei cresciuto in Lussemburgo e hai anche il passaporto francese, ma hai scelto la nazionale bosniaca: cosa ti ha portato a fare questa scelta? "Potrei rispondere una partita...".
In che senso? "Quando ero piccolo mio papà mi ha portato a vedere Bosnia-Danimarca a Sarajevo e il tifo era assordante, uno spettacolo eccezionale. Mi guardavo intorno e pensavo che un giorno avrei voluto giocare per quei tifosi. Al di là di questo, comunque, a casa ho sempre parlato bosniaco, i miei genitori sono bosniaci, io mi sento bosniaco, è stata semplicemente una scelta naturale".
Per tornare ai tuoi inizi: sempre stato centrocampista? "Sempre, fin da subito. Centrocampista o trequartista, ma sempre nel vivo del gioco".
Ecco, appunto: su Wikipedia si legge "Intermedio di centrocampo o trequartista". Ovvio che giochi dove ti piazza l'allenatore, ma che ruolo senti più tuo? "Mah, sai, è tutto relativo, il ruolo giusto è quello che esalta le tue qualità. Per esempio, anche quello di esterno mi permette di fare cose che a centrocampo non posso fare. Devo dire, però, che il ruolo in cui ho giocato quest'anno è quello che mi piace di più, perché mi permette di toccare molti palloni, ma anche di inserirmi, fare assist o concludere l'azione".
Per parafrasare Garcia, si può dire che il mister ha rimesso Pjanic al centro della Roma? "Diciamo che il gioco di Garcia dà grande importanza al centrocampo e, giocando io a centrocampo, possiamo anche dire così (sorride, ndr)".
È vero che il tuo idolo da ragazzino era Zidane? "Sì, è vero, perché era un grandissimo giocatore, apprezzavo la sua tecnica, la sua eleganza, la sua semplicità dentro e fuori dal campo. In più mi sembrava una persona molto umile".
Un giocatore che, invece, apprezzi ora? "Xavi. Chiunque ami il calcio non può non amare Xavi che ne è l'essenza. È bello da vedere, ma gioca semplice, per me il calcio è semplicità".
Torniamo al tuo percorso: a soli 14 anni ti sei trasferito da solo a Metz. Un bel salto... "Sì, erano solo 45 minuti di distanza dal Lussemburgo, ma per me è stato un grande cambiamento. Mi sono abituato molto bene alla nuova realtà e ho stretto subito belle amicizie, alcune delle quali durano ancora oggi. È un ricordo molto bello e sono felice che il Metz sia tornato in Ligue 1 perché è una società alla quale sono rimasto molto legato".
Quando hai realmente capito che saresti riuscito a coronare il tuo sogno? "Quando sono arrivato in Francia ho capito che si faceva sul serio. Mi dicevo: "Perché lui dovrebbe farcela e io no?" e ho dato tutto me stesso perché ciò accedesse. Già in quel periodo giocavo sempre con i più grandi e poi a 17 anni ho esordito in prima squadra e non ne sono più uscito".
A Lione, poi, il grande calcio: che emozione è stata? "È cambiato tutto: io arrivavo dal Metz dove lottavo per la retrocessione, il Lione aveva vinto il campionato per sette stagioni di fila e giocava in Champions League. C'è voluto un po' di tempo per ambientarsi ma lì ho imparato molto. Mi dispiace solo non essere riuscito a vincere qualcosa di importante con quella maglia".
Il gol in Champions League al Bernabeu (11 marzo 2010) che è valso la qualificazione ai quarti è stata l'emozione più intensa della tua carriera finora? "Sì, perché è stato un gol importantissimo in uno stadio mitico. Seguivo il Real dai tempi in cui ci giocava Zidane e per me segnare quella sera ha avuto un sapore speciale".
L'emozione che vorresti ancora provare? "Vincere titoli, vedere la gente esplodere di gioia. Questo è il mio prossimo obiettivo, lavoro ogni giorno per questo".
Come ha fatto la Roma a convincerti, se ha dovuto convincerti, a trasferirti in Italia? "Ero in ritiro con la Nazionale e non pensavo di lasciare il Lione, ma la Roma mi ha contattato, Luis Enrique è venuto più volte a farmi visita, mi hanno dimostrato in tutti i modi quanto mi volessero davvero. Mi sono detto che se tutti mi volevano così tanto, era giusto venire qui".
Conoscevi già il calore del pubblico della Roma? "No, perché non conoscevo nulla, a momenti non sapevo dove fosse Roma, non sapevo neanche che ci fosse il mare (ride, ndr). È stata una piacevole sorpresa, una sorpresa ogni giorno più bella. Non mi sono mai pentito della scelta fatta, perché qui sto benissimo e adesso voglio vincere con questa maglia".
Che differenze hai trovato rispetto al calcio francese? "Sai, vivo a Roma, una città in cui il calcio è la cosa più importante (ride, ndr). Qui c'è davvero una grande passione, una cosa importantissima per un calciatore. Tutta questa attenzione in Francia non c'è".
Sei d'accordo con Capello che il calcio italiano non è allettante? "Chiaro che rispetto a quando c'era lui è cambiato, ma non si può dire che il campionato sia facile. Ci sono grandi squadre e giocatori importanti e secondo me sarà sempre più difficile".
Dopo stagioni difficili, la Roma di quest'anno ha disputato un campionato eccezionale: qual è stato il segreto, la scintilla? "Devo dire che il mister ci ha messo molto: il gruppo si è unito, rispetto a prima è molto più coeso, Garcia ha lavorato molto sulla fiducia e ha fatto sentire importanti tutti i giocatori. La Juve ha fatto un campionato da record, ma noi abbiamo tenuto il passo e sono convinto che questa squadra può dare ancora più fastidio a tutti in futuro".
In cosa in particolare ti ha sorpreso mister Garcia? "Ha trasmesso le sue idee in maniera chiara e noi l'abbiamo seguito. Ha fatto sentire importante il gruppo e non i singoli giocatori. Le prime vittorie, poi, sono state fondamentali per acquisire ulteriore fiducia. Le prime 10 vittorie di fila ci hanno dato sicurezza e convinzione nei nostri mezzi".
È stata la tua migliore stagione in assoluto? "Credo proprio di sì, sono molto soddisfatto di quello che ho fatto, è stato un campionato importante per me".
La cosa ancor più positiva è che la Roma ha ottenuto i risultati proponendo un bel gioco... "La Roma è stata sicuramente la squadra che ha giocato il miglior calcio in Italia. Si può dire che la Juve ha la rosa più ampia, più completa, ma noi ci arriviamo col gioco e sono convinto che nei prossimi anni faremo grandi cose".
Come si colma il gap con la Juve? "Loro hanno fatto cose incredibili e secondo me la differenza l'ha fatta l'esperienza, il fatto che fossero da tre anni insieme, che il tecnico conoscesse bene i suoi giocatori, mentre il nostro è un progetto tutto nuovo, ma con questa mentalità credo che andremo lontano".
Come ti immagini la Roma in Champions? Le squadre italiane ultimamente soffrono... "Sarà dura, ma non andiamo in Champions per non passare almeno il primo turno. Con i giocatori che abbiamo superare il girone è un obbligo".
Quando ti senti ancora Miralem e non il calciatore Pjanic? "Quando sono con gli amici, perché con loro sono sempre quello di una volta, mi diverto a fare... Beh, insomma, ci siamo capiti: scherziamo, ridiamo e stiamo bene insieme".
Da calciatore, che emozione è giocare al fianco di uno come Francesco Totti con l'esempio che dà? "Probabilmente me ne renderò conto quando, speriamo il più tardi possibile, smetterà di giocare. Per me è un onore aver avuto la possibilità di scendere al fianco di una leggenda del calcio come Francesco".
Il calciatore Pjanic, invece, cosa sogna? "Di diventare, un giorno, come Totti, una leggenda. Mi auguro che, in futuro, la gente si ricorderà di me". I capolavori di Giotto, d'altronde, sono impossibili da dimenticare...
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