Conte: Bernardeschi il "suo" giocatore. Juve-Inter: settimana Juve. Milan-Inter: rilancio e sopravvivenza. Napoli: Sarri in tilt. Sinisa: lui vuole "allenare"
Una settimana fa riferivamo della voce "Allegri è già a Londra". Non ce ne eravamo innamorati, ne avevamo scritto senza passioni e senza pregiudizi, ma il borsino mediatico degli ultimi giorni porta Antonio Conte al Chelsea e non il tecnico di Livorno. Se così fosse, i giocatori da ristorante da 100 euro fra i Blues già ci sono. Mancano quelli da 10 euro, perché ad Antonio Conte piace moltissimo costruirsi le squadre con un mix di classe e di giocatori votati al sacrificio pronti a dare tutto per la corsa e per lui che li sceglie. C'è un giocatore perfetto, non che costi 10 euro ma nemmeno 1000, per questo tipo di allestimento, il giocatore che è oggi l'evoluzione di El Shaarawy, il giocatore che abbina tecnica e corsa, serietà e discrezione, un volto meno esotico rispetto a quello di Insigne, ma con tanta sostanza: Federico Bernardeschi. Non ci sarà l'ammucchiata di italiani nell'eventuale nuovo Chelsea di Conte perché, nonostante lui stesso sia il Ct azzurro, non va matto per usi e costumi del nostro calcio, a meno che decida di fare sfoggio di personalità attingendo dai connazionali per marcare la differenza un po' come ha fatto per anni Arsene Wenger con i francesi all'Arsenal. Ma non crediamo. Per cui uno giovane, forte, serio e mirato: Bernardeschi.
La settimana pre Juve-Inter ha tenuto viva la squadra bianconera in Champions League, ha sgomberato i cieli di Torino dalle voci sulla partenza di Allegri, ha riempito di nubi finanziarie e societarie la parte di cielo nerazzurro sopra Milano. E ha anche rimesso in gioco Kondogbia, che torna sul luogo del delitto (i Club italiani lo hanno notato per le due ottime gare che fece contro i bianconeri con il Monaco in Champions un anno fa), anche se alla luce del rendimento intermittente del francese è tutto da vedere se sia davvero un danno per la Juventus. Adesso si gioca, ma campo e media passano alla partita di domenica sera un testimone tutto bianconero.
Non c'è nessuna attinenza fra il caso Mr. Bee e il caso Thohir. Il Milan cerca nuovi soci per rilanciarsi sul mercato, per salire di livello nelle spese per rinforzare la squadra, non per sopravvivere. Il tema, nonostante nani e ballerine tentino di troncare e sopire in maniera non credibile agli occhi dei tifosi, sull'altra sponda del Naviglio è proprio quello invece, la quotidianità, la fine della stagione non proprio la sopravvivenza, mancherebbe altro, ma qualcosa che rischia di somigliargli. Dopo 18 anni di "ghe pensi mi" a qualsiasi costo di Massimo Moratti, eccoci alla ricerca, affannosa?, di soci da parte di Erick Thohir dopo soli due anni e mezzo di presidenza. Le attenuanti non mancano: il calcio italiano non traina, la politica internazionale di ricavi della Serie A non decolla, i costi sono pazzeschi e i debiti trovati moltissimi, le scelte tecniche e umorali del proprio allenatore non pagano. Buon lavoro al presidente Thohir dunque, che è persona serena e corretta. Ma quel bilancio, che gli esperti definiscono opaco, con il debito consolidato confinato nelle pieghe, nelle pagine delle retrovie, non cancella i dubbi. Anzi. Per Ernesto Paolillo e Gianfelice Facchetti. ad esempio, due interisti doc, la soluzione è una e solo una: il ritorno di Massimo Moratti.
Il 2016 di Maurizio Sarri è meno brillante, parliamo di comunicazione e di scelte perché il suo splendido Napoli continua a giocare molto bene a calcio, è molto meno brillante del 2015. In effetti ne ha inanellate un po'. Manca di rispetto a Mancini, ma non riapriamo per carità di patria. Salta la conferenza stampa pre Milan e viene espulso durante la partita. Poi passa dagli arbitri che subiscono il fascino delle squadre con la maglia con le righe come disse a Empoli, ai rilievi e ai paragoni sui fatturati. Mentre il presidente De Laurentiis lo tutela e sposta l'attenzione sul chiletto e mezzo in più di Higuain, lui riapre il dibattito sul mercato del Napoli, riaccendendo la contestazione dei tifosi che si era sopita dopo le prime giornate di Campionato. Sarri, sia ben chiaro, è un bellissimo costruttore e insegnante di calcio di campo. Ma quando comunica e quando fa scelte cruciali, perde quota. Perdonate. Ma, e qui veniamo al punto, se il Napoli è ancora al di sotto della sottile, impercettibile ma esistente coltre di sfiga appoggiatasi sulla squadra dal momento del gol di Zaza, lo si deve proprio a Sarri. Il Napoli doveva venirne fuori subito da quel gol di Zaza. Doveva resettarlo immediatamente e farlo dimenticare in men che non si dica. E doveva farlo allo Stadio Madrigal, doveva farlo quella sera o mai più. Era giovedì, cinque giorni dopo la Juventus e quattro giorni (quattro giorni!) prima del Milan schedulato il lunedì. Era una partita, Villarreal-Napoli, da formazione tipo e da riscatto immediato. C'era tutto il tempo per recuperare, con Napoli-Milan di lunedì. E invece scelte mezze e mezze sul turnover, con tanti saluti oltre tutto al ranking europeo del calcio italiano, con relativa sconfitta a Vila-Real. Poi la squadra scende in campo con il Milan, con nella testa non solo il gol di Zaza ma anche quello di Suarez. E ad un certo punto arriva anche quello di Bonaventura. Fino al giovedì dell'eliminazione a e all'ennesimo golletto decisivo incassato. Troppo comodo allora fare le introspezioni psicologiche e le prediche solo a Mancini. Il calcio è un tritacarne che cambia volto di giorno in giorno e oggi il tecnico che ha più bisogno di recuperare serenità è proprio Maurizio Sarri.
Siamo notoriamente fra coloro che pensano, a torto o a ragione, soli o accompagnati (coerente e dolce al tempo stesso Christian Abbiati ieri in conferenza stampa), a pensare che per il Milan sia continuare anche nella prossima stagione a costruire e seminare con l'ottimo allenatore e con l'ottimo Staff tecnico che ha, anche qui ieri eloquente e chiaro in conferenza stampa Ignazio Abate. Ma lasciamo parlare il campo e non le guerre di religione. La sua bravura e la sua limpidezza Sinisa Mihajlovic, che dovrà comunque salire di tono in quanto a visione e costruzione di gioco, le ha dimostrate anche nella conferenza stampa pre Napoli. Parlando della prossima stagione dice, qualsiasi cosa accada io non sto fermo. Io alleno. Io voglio allenare. Eh già. Gli allenatori veri, gli allenatori di gavetta, gli allenatori di vocazione allenano. Ragionano così, la pensano così, hanno sempre e comunque fame di campo. Non stanno fermi, come se godessero di chissà quali rendite di posizione rispetto a quando erano coccolati da giocatori. Sono uomini che non stanno fermi a coltivare polemiche o pretesti, ma guardano avanti alla prossima sfida in posizione protesa non rannicchiata. Augurandoci che non sia questo il caso di Mihajlovic, non scriviamo questo per rinfacciare chissà cosa a chissà chi: non è questo il tema e non è questo il punto. Ma per indicare in positivo quali sono le caratteristiche, quali sono le componenti di un allenatore che aveva il compito difficilissimo di riportare compattezza in un ambiente come quello rossonero reduce da due anni come quelli che sta cercando lentamente, e faticosamente perché nel calcio non si cambia passo schioccando semplicemente le dita, di lasciarsi alle spalle.