Juventus, Marotta: "Il mio futuro? Non mi vedo in un altro club"
L'amministratore delegato della Juventus, Giuseppe Marotta, ha parlato ai microfoni de Il Sole 24 Ore: "La Juventus è una azienda con oltre 500 dipendenti che aspira a consolidarsi come una delle più importanti e profittevoli multinazionali dello SportSystem. Penso perciò che ciascuno debba essere messo nella condizione di dare il meglio di sé e di contribuire al successo colletti- vo. La stessa filosofia deve permeare la compagine dei calciatori e lo staff tecnico, come i diversi settori dell’industria Juventus. E la stessa fiducia deve essere alla base del rapporto con la proprietà". Una proprietà forte e poten- zialmente ingombrante come quella della Exor, del presidente John Elkann e della famiglia Agnelli. "Con cui è indispensabile dialogare, nel rispetto dei ruoli. Occorre saper mantenere le giuste distanze, con equilibrio e senso di responsabilità".
Sui maxi trasferimenti: "In 40 anni – commenta Marotta - ho attraversato tutte le trasformazioni di questo settore, dal mecenatismo all’avvento delle tv, dall’invasione della finanza a questa nuova era in cui il trading dei calciatori ha definitivamente seppellito il romanticismo.
Bandiere che incarnino lo spirito di una squadra e la identifichino non ce ne sono e non ce ne saranno più. Totti e Buffon saranno ricordati come gli ultimi esemplari del calcio classico. Queste trasformazioni finiscono per svilire la passione dei tifosi? Il calcio d’élite sarà sempre più una forma di entertainment. I calciatori migliori saranno sempre più delle star dello show business. E vivranno di ingaggi temporanei, come gli attori del cinema, quasi senza più vincoli contrattuali, se non per quel dato spettacolo o per quella data manifestazione. Possiamo non desiderarlo come innamorati del calcio, ma l’economia mondiale spinge in questa direzione".
Sul suo futuro: "Certo non mi vedo in un altro club. Piuttosto vorrei dare un contributo alla politica sportiva, mettere a disposizione la mia esperienza per provare a salvaguardare almeno nel calcio non di vertice quella valenza sociale ed etica che fa dello sport qualcosa di imprescindibile"