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Vulcanico, latitante, innovatore: Gaucci, uomo di un calcio che non c'è più

Vulcanico, latitante, innovatore: Gaucci, uomo di un calcio che non c'è piùTUTTO mercato WEB
© foto di Michele Castellani
sabato 1 febbraio 2020, 18:30Archivio 2020
di Ivan Cardia

Con Luciano Gaucci se ne va, per molti aspetti, un'era del nostro calcio. Quella dei presidenti e dei club di provincia, di un mondo che era meno azienda e più calcio. Anche più arruffone e caotico, se vogliamo, ma di certo più vicino ai propri tifosi. Perché Gaucci è stato tante cose: un imprenditore e un latitante, un innovatore e un patron vulcanico. Un presidente dal sangue caldo. E sicuramente, un appassionato. Nel bene e nel male, pur sempre a modo suo.

Gli inizi con l'ippica. Il primo amore sportivo non è rotondo, non è una palla. Sono i cavalli. Gaucci, romano classe '38, attivo nel campo delle pulizie e dell'abbigliamento, entra in questo mondo attraverso l'ippica: proprietario di una scuderia, negli anni '80 fa affari d'oro. Soprattutto con Tony Bin, purosangue acquisto a 12 milioni di lire e venduto a 7 miliardi.

Il calcio: la Roma su consiglio di Andreotti? Con la presidenza di Dino Viola, nasce l'amore tra Gaucci e il pallone. Big Luciano entra nella dirigenza della Roma, come vicepresidente dei capitolini. Un'esperienza non lunghissima, che però gli cambia: si sussurra, su consiglio di Giulio Andreotti, con il quale pare Gaucci avesse ottimi rapporti.

La favola del Perugia. Nell'immaginario collettivo, Gaucci è il presidente del Perugia: lo sarà sempre, anche ora che non c'è più. Lo diventa nel 1991, quando rileva il club umbro, in pessime condizioni economiche e impelagato nelle serie minori. Nel '94 è Serie B, poi tante soddisfazioni: due promozioni in Serie A, il 3-5-2 di Cosmi, scoperto all'Arezzo, che segna un'epoca del nostro calcio, la semifinale di Coppa Italia e la Coppa Uefa. Tanti i nomi. Da ricordare, su tutti, due futuri campioni del mondo: Materazzi e Grosso, portati alla ribalta proprio dal Grifo.

Le liti: Matarrese e Baronio. Per gli amanti di Blob, alcuni episodi scolpiti nella memoria: la furente litigata con Vincenzo Matarrese, patron del Bari. Anno di grazia 1999, entrambe correvano per l'Europa: da un lato Mazzone e dall'altro Fascetti, altri nomi di un calcio che ricordiamo con un pizzico di nostalgia. In campo volano le botte, al fischio finale i paroloni tra i due numeri uno. In TV, poi, molti ricorderanno un altro siparietto, questa volta tra Gaucci e un suo giocatore, Roberto Baronio. Reo, a dire del suo presidente, di indossare il numero 13: "porta sfortuna", dice Gaucci a Controcampo, annunciando di voler bruciare la sua maglia. A rispondere, ci pensa lo stesso Baronio, che interviene telefonicamente in trasmissione per spiegare come quel numero sia un omaggio alla data di nascita di suo figlio Mattia, il 13 maggio.

Gaucci innovatore. A Perugia ricordano con affetto Nakata e, forse un po' meno, Saadi Gheddafi. Né il primo giapponese né il primo libico a giocare in Italia, ma testimoniano il feeling con l'Oriente. Certificato da altri che invece sono stati i primi: Ahn Jung-hwan e Ma Mingyu. Il primo calciatore coreano e il primo calciatore cinese d'Italia. Dimenticabile Mingyu, soprannominato il nonno cinese di Perugia. Un po' meno Ahn, che suo malgrado segna il gol decisivo per l'eliminazione dell'Italia nel mondiale 2002. Lo vendo subito, tuona Gaucci, disconoscendo il suo giocatore: "È la rovina del calcio italiano". A proposito di innovazione, è anche uno dei primi ad aprire al mondo del calcio femminile. Lo fa però in quello maschile: nel 2003 prova a portare al Perugia la tedesca Birgit Prinz, che rifiuta. In compenso, era già riuscito a portare una donna in panchina con gli uomini: Carolina Morace, che nel 1999 allena la Viterbese. Perché Gaucci non era solo Perugia.

Le altre piazze. Viterbo, appunto. Ma anche Catania (tra Massimino e Pulvirenti) e Sambenedettese, dal 2000 al 2004. Persino il Napoli: nel 2004 ingaggia Gregucci e fonda la Napoli Sportiva, dopo il fallimento. La squadra non viene però neanche iscritta a un campionato professionistico: non era lui, l'uomo del rilancio dei partenopei.

Le controversie. Tante, quasi infinite. Perché Gaucci è stato un uomo del nostro calcio nell'ultimo ventennio del secondo millennio. E non sempre sono stati anni limpidi. La prima promozione del Perugia, per esempio, non va a buon fine perché dopo lo spareggio contro l'Acireale Gaucci è accusato di aver corrotto l'arbitro, regalandogli un cavallo. Squalificato per tre anni come presidente, se ne fregherà e pagherà le multe pur di seguire la squadra. La vicenda più pesante arriva nel novembre 2005: un crack finanziario da quasi 100 milioni di euro, che vale il fallimento del Perugia. E la fuga di Gaucci a Santo Domingo, buen retiro degli ultimi anni di vita. Da latitante, prima. Poi per scelta, perché nel 2009 patteggia una pena di tre anni per bancarotta fraudolenta (mai scontata grazie all'indulto) e può rientrare in Italia: lo fa in via temporanea, ma resta ai margini. Anche del "suo" calcio: osservatore esterno di un pallone che non è più. Quello dei mecenati, di presidente appassionati e pronti a tutto. Anche a spendere tanto per portare Beppe Dossena dalla Serie A alla C1: un affare che fece scalpore. Un affare figlio di un calcio spregiudicato: più torbido e anche più appassionato. Due facce di una stessa medaglia. Del calcio di Gaucci, che tra luci e ombre ha comunque scritto un'epoca.